di Fulvia Galli della Loggia
Facendo riferimento agli ultimi eventi e alla diffusione incontrollata di violenza, sempre più spesso si recrimina una mancata empatia nei giovani. Capisco l’importanza di fare riferimento ad un recupero dell’empatia nei giovani e non solo. Non riuscire a vedere l’altro come un simile in cui potersi riconoscere è certamente uno dei gravi danni di cui il nostro mondo occidentale soffre ormai da troppo tempo.
Io non sono simile a te, non posso riconoscermi nel dolore, nella
sofferenza, nelle difficoltà dell’altro perché io non sono unǝ debole, non sono unǝ perdente. IO DEVO ESSERE MIGLIORE, non posso neanche provare pietà, sentimento che non necessariamente prevede una similitudine come l’empatia, ma bensì anche una certa superiorità di uno sguardo che si posa su chi diversamente da me sta vivendo una brutta esperienza.
No, l’lO dei nostri giorni non riesce spesso e volentieri neanche a provare uno sguardo superiore di pietà e compassione. Il perché è, forse, sempre nella sottile ma radicata cultura contemporanea dellǝ “sfigatǝ” e nella colpa meritata. Se sei unǝ sfigatǝ non posso provare compassione per te perché di fatto te lo
meriti!
Empatia, compassione e pietà sembrano essere diventati sentimenti a rischio di contagio. Se li provo potrei inquinarmi e prendermi la malattia dell’uomo: la fragilità. NON DEVO FARMI
COINVOLGERE.
L’insensibilità diviene l’antidoto al virus umano. E l’egoismo e l’esaltazione è la medicina giornaliera che mi proteggerà.
Dobbiamo rieducare alla forza della fragilità. Invertire il corso di un pensiero che coniuga forza e dominio nell’insensibilità.
Rinunciare alla comprensione della nostra e altrui fragilità ci condanna alla perdita, senza ritorno, dell’umanità. Ci abbandona alla solitudine e all’incomunicabilità.