di Fulvia Galli della Loggia
“I figli che non si liberano dalle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”
Da I giovani infelici di Pier Paolo Pasolini
Ieri ho scoperto che il comportamento dei giovani, femmine e maschi, che ultimamente così spesso finiscono in cronaca nera per crimini di violenza vengono definiti CALLOSI ANAEMOZIONALI
(CU). Freddi e indifferenti alle loro vittime, fanno parte del sottogruppo dei Disturbi di Comportamento Dirompente (DCD). Sono soggetti con tre tratti che li caratterizzano: mancanza di
alcun rimorso senso di colpa ed empatia, scarsa capacità di espressione e di provare emozione, arroganti ingannevoli e spesso narcisistico-manipolatori nei rapporti interpersonali. Sono impulsivi e irresponsabili con una forte propensione alla noia.
La CU è una struttura multidimensionale della psicopatia e come tale appartiene a un sottotipo specifico di disturbo della condotta che è stato inserito nel manuale diagnostico DSM V. Di fatto pare che tale patologia si possa diagnosticare fin dai 7 anni e dipenda a volte da fattori genetici e, soprattutto, ambientali, primi fra tutti quelli relativi al microsistema figlio-genitori.
Allora mi chiedo: pensiamo davvero che un disturbo comportamentale “psicotico”, seppure altamente antisociale, si possa curare mettendo in galera i ragazzi e forse anche buttando via le chiavi, come qualcuno vorrebbe?
La mente mi riporta a un tempo, non tanto lontano, in cui per problemi mentali venivi rinchiuso insieme a tanti altri “diversi”. Davvero vogliamo che la Storia si ripeta?
La società è malata come i suoi figli. E allora cominciamo a prenderci cura di noi e delle giovani generazioni a rischio. La situazione è grave e non è facile trovare soluzioni su due piedi, ma come ormai sappiamo tutti, la prima regola di ogni malattia, disagio o sofferenza che sia è cominciare ad averne coscienza.
Cominciamo a vederci dentro con più chiarezza, a renderci conto che, forse, il germe del disagio, anche se in piccolissima parte, si è già insinuato in ognuno di noi. Osserviamo attentamente i nostri nuclei familiari e amicali. Stiamo pronti a riconoscerne le prime avvisaglie e corriamo ai ripari. Ecco che allora anche la Consulenza filosofica può fare la differenza: educare al sentimento, alla relazione sensibile.
Ma saremo ancora in tempo ad invertire la rotta? Saremo in grado di capire che spesso e volentieri le colpe dei nostri figli ci appartengono, dipendono da noi, o preferiamo difenderli a tutti
i costi e renderci ciechi e sordi perché non paghino loro ciò che dovrebbe essere imputato a noi?
Come può fare allora la differenza la Consulenza filosofica nel programma di recupero e di prevenzione per le giovani generazioni di cui si parla nell’ultimo decreto del Governo?
Due brevi considerazioni.
- Di fronte ad una criminalizzazione o medicalizzazione di massa delle giovani generazioni potremmo anche fare un tentativo affidandoci ad una antica sapienza pedagogica che ha formato per secoli i giovani attraverso la pratica filosofica di conoscenza e padronanza delle proprie emozioni, di relazioni e riflessioni ragionate.
- Da oltre 20 anni l’educazione ha puntato su un sapere per lo più scientifico a discapito di quello umanistico. A scuola le ore di filosofia arte e letteratura sono diminuite a favore di
quelle tecnico scientifiche. Il guadagno l’ha fatta da padrone nelle scelte di studio e lavoro.
Ma se la filosofia l’arte e la poesia poco fatturano in campo economico al contrario molto servono a formare le menti, i cuori e le anime dei giovani da che mondo è mondo.
Guardiamoci intorno: se questi sono i risultati in termini di stato sociale, educativo e civile, forse dovremmo ripensare le nostre scelte future e ritornare ad un’educazione del buono e del bello che oggi ha lasciato posto a brutture ed orrori di diverso genere.